sabato 13 agosto 2011

Era il dieci agosto ero dove volevo essere...

L'armonia mai statica
l'ordine scomposto che mette serenità.
Come il vento sulle braccia nei giorni tanto caldi.
Questa notte ho sognato senza alcuna inquietudine,

verso l'alba ho sentito freddo
ho liberato i sogni dai mie polsi e sono andata a fare pipì.
Lentamente ho percorso il corridoio fiera di essere qui con lui.
Mi piace stare qui/trovare perfezioni.
Aspettare l'autentico fluire di ogni cosa
crearci senza forzare nulla.
Come adesso mentre l'altra metà ancora dorme tra gli impasti del suo respiro e io scrivo.
Tocchiamo il tempo senza fretta di tempo.

E' oggi denso e confuso. E' dove non voglio essere...

Strappo/lacerazione/tonfo sordo. Piombo che si conficca esattamente qui. Era prima di una nuova fine. Scrivevo su un letto che stava per diventare di fuoco. Mi fidavo di una mattina che invece iniziava già a sciogliermi i piedi nel suo acido. Poi solo scoli di me irrazionali e stupidi. Ma credo inevitabili.Inevitabile. Aspettavo che si svegliasse e ancora mi illudevo che mi trovasse. In realtà il tempo che non stavamo toccando era il poco tempo che mi restava prima di finire definitivamente. La parola definitivamente che si fa lama dentro al mio petto ora. Tutta l'attesa e la valanga sulle ossa per aver ritrovato. Tutti quei mesi trattenuti nella mancanza e nella disperazione a volte, poi nella ricerca di un equilibrio senza rifiuto, nella  consapevolezza capace di portarmi avanti anche senza di lui. I mesi in cui imparavo a dissuadermi sicura che l'avrei amato per sempre pur non vivendolo. Questo e tanto altro che si scioglieva alzava il livello dell'acqua fino al mio respiro e mi annegava mentre ancora una volta l'inevitabile iniziava ad accadere. L'isteria. Ho agito come mai avrei voluto. Ero brutta/eravamo brutti. Ero vinta. Imploravo qualcosa che forse non esisteva. Piangevo perchè quella stupida cosa ci venisse a salvare prima che noi distruggessimo tutto ancora una volta. Non ho dato tempo. Non mi sono data tempo. Era come se sentissi già gli odori con l'istinto ormai sviluppato forzatamente. L'odore di quel vento marcio che stava iniziando ad avvolgerci. Conosciuto e temuto da troppo ormai. Quindi la rabbia mai assecondata tanto. L'implosione che in un tentativo goffo e innaturale ho cercato di spingere fuori perchè non rimanesse a logorarmi da dentro per interi giorni. Come sempre. Come ogni volta. Ero vinta. Sono vinta. Ho ridotto al minimo il pensiero dopo e sentivo il rimbombo di tutte le cose dette. Facevano un rumore ossessionante. I tuoi giudizi i miei e l'impietosa corsa dentro la distruzione. Ho ridotto al minimo il pensiero e ti ho cercato. Mi sono stretta tra le tue braccia ti ho stretto. In un tentativo disperato di accoglienza e tu con me. Subito lo sbocco copioso di quell'amore fortissimo in mezzo a tutte le nostre macerie sotto la pioggia acida che mi mangiava la faccia e il respiro che ritrovava il ritmo insieme a te che mi ballavi dentro. Sono vinta e basta e questo scrivere mi fa risentire tutto e non vorrei muovere nemmeno un dito. Non vorrei trovare nemmeno una parola imperfetta nemmeno un bisogno di esternazione nemmeno un ricordo nemmeno un attimo piccolissimo di te che mi tocchi con amore e di noi felici e morbidi come solo possiamo in brevissimi momenti che confondono la realtà. Hai detto che non è il sentimento ad unirci. Hai detto. Ho detto. Basta. Mi tengo il calore fortissimo di quello sbocco intrattenibile d'amore più dignitoso e capace di noi. Come ho sempre detto. Mi tengo lui stretto e scappo lontanissimo su gambe zoppe imperfette e quindi incapaci.

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